Dopo i primi l’organizzazione dei convegni annuali passò dalla Rivista “Iniziativa Isontina” al neonato Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei che continuò sulla strada tracciata grazie anche ad un gruppo di persone, che ebbero ruoli diversi, fra le quali non si possono dimenticare Bruno Calderini, Sergio Campailla, Giannino Ciuffarin, Kajetan Gantar, Celso Macor, Vittorio Peri, Giovanni Piuk, Marco Pozzetto, Quirino Principe, Bernhard Stillfried, György Szabo, Sergio Tavano, Adam Wandruszka, Walter Zettl e tanti altri. Senza il loro contributo l’Istituto non avrebbe potuto giungere al traguardo di cinquant’anni di attività mantenendo l’assoluto livello scientifico delle iniziative, accompagnato sempre da grande umanità, amicizia e gratuità.
Gli incontri ebbero a tema più volte, e sotto diverse accezioni, il concetto stesso di Mitteleuropa che venne così indagato da vari punti di vista: Mito e realtà della Mitteleuropa (1969), La Mitteleuropa nel tempo (1973), Per un’immagine della Mitteleuropa (1981), Fattori dell’unità culturale nell’area Alpe Adria e nel bacino danubiano: l’istruzione scolastica e i centri di formazione (1983); Le Minoranze nella Mitteleuropa (1900-1945): identità e confronti (1990); Cultura di confine (1995); Il modello mitteleuropeo. Il destino dell’Europa (1996); Nazione e Stato nell’Europa Centrale (1997).
Ciò che è sempre emerso, però, è che l’idea di Mitteleuropa non era il ricordo nostalgico di una realtà storico istituzionale che la storia aveva ormai cancellato, ma piuttosto un processo di riconoscimento di elementi culturali e identitari, con le parole di Egon Schwarz, un patrimonio vivo e inesauribile di spunti e di addentellati culturali che reca una luce di speranza verso una concezione della vita e della convivenza civile volta all’universalismo, al diritto di espressione di tutte le etnie e le culture, al rispetto dell’uomo, alla rinuncia alla violenza, al rifiuto di schematismi ideologici preconcetti e devianti.
Naturalmente anche temi e modalità degli Incontri sono mutati nel corso di questi cinquant’anni e hanno recepito i cambiamenti che si sono avuti in Europa in special modo dopo il 1989. Tuttavia la caduta del muro di Berlino non ha fatto venire meno le motivazioni degli incontri, ha semmai portato nuove correnti di indagine spostando l’attenzione sulle nuove emergenze dell’Europa; dall’allargarsi dei suoi confini sono venute sollecitazioni sui rapporti fra le minoranze, sul dialogo interreligioso e, soprattutto, sulla necessità di individuare nella nuova Europa non solo un agglomerato di mercati e finanze, ma ancora una volta soprattutto una entità capace di catalizzare la ricchezza e la varietà che hanno caratterizzato l’Europa di mezzo, che ha creato una civiltà di cui una caratteristica è – con le parole di Claudio Magris (cit. in L. Tavano, Cultura e società nel goriziano: il caso di Francesco Spessot, Gorizia 1990), – “proprio questo suo sovraccarico di storia, questa impossibilità di dimenticare, di passare agli atti il passato anche lontano; questa necessità di vivere anche tensioni, passioni ed emozioni antiche come fossero immediatamente presenti, in quella stratificata e conflittuale mescolanza che ogni individuo di quella civiltà sente in sé”.